La bottega della solidarietà - Etica delle Etichette 🏷

 

 

 

L'8 maggio è venuta a scuola l'esperta della Bottega della solidarietà per parlarci dell'etica delle etichette che sono presenti sui nostri vestiti o sugli  oggetti che usiamo quotidianamente.

 

Abbiamo iniziato con un "gioco di simulazione", in cui ci siamo calati nei panni dei lavoratori delle fabbriche di vestiti, che ogni giorno si "spaccano la schiena" per poter dare da mangiare alle loro famiglie; ci siamo divisi in gruppi di lavoratori e abbiamo iniziato a "produrre" pezze di giornali intrecciati, poi alla fine della prima ora, l’esperta ci ha pagato con un assegno, a cottimo, cioè non siamo stati pagati  per quante ore abbiamo lavorato, ma per quanto abbiamo prodotto. Con quell'assegno ci siamo calati nei panni dei lavoratori, cercando di capire come potevamo sopravvivere in un mese con i soldi guadagnati. Ci siamo accorti che è veramente dura tirare avanti con quei pochi taka, la moneta del Bangladesh.

 

Il mercoledì successivo, l'esperta ci ha fatto cercare nelle etichette dei nostri vestiti  la provenienza e la composizione del tessuto per poi discuterne.

 

Ci ha fatto vedere un documentario su come si lavora nelle fabbriche, in un quartiere industriale, in Bangladesh, la giornalista, seguita da un operatore ci ha condotto prima in una fabbrica regolare e poi in una quartiere in cui sono presenti piccole sotto fabbriche che producono per fabbriche più grandi, questi si chiamano committenti, cioè grandi ditte, che commissionano a fabbriche più piccole. A loro volta le fabbriche commissionate commissionano ad altre più piccole  fino a che non si capisce più qual è la fabbrica che le commissiona tutte. In queste piccole realtà lavorano anche i bambini per poter dare da mangiare alle loro famiglie, da grandi vorrebbero fare i sarti, anche se molti vorrebbero andare a scuola.

 

Tutto questo è da prendere sul serio e non bisogna scherzarci sopra perché ogni giorno molte persone e bambini rischiano la vita in edifici pericolanti e in condizioni igieniche disastrose.

 

 

 

 

 

 

 

Francesco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’8 maggio, abbiamo iniziato un nuovo progetto per la bottega della solidarietà, molto interessante, con l’intento di aprire gli occhi sulle condizioni di vita in alcuni paesi molto poveri, precisamente nel Bangladesh.

 

Abbiamo discusso molto sui fatti presentati, rendendoci conto di quanto siamo fortunati, e di quanto, ogni nostro lamento sia inutile e ingiusto.

 

Durante la prima lezione abbiamo prodotto dei tappeti sovrapponendo strisce di carta, calandoci così nei panni degli operai che lavorano per molte ore al giorno nelle fabbriche, portando a casa solo pochi soldi al mese.

 

Abbiamo scoperto inoltre che, per sopravvivere e portare avanti la famiglia, anche i bambini devono lavorare, bambini come noi, che sognano la scuola, una casa accogliente e delle cure per sopravvivere.

 

Già questo dovrebbe farci riflettere su quello che abbiamo, e farci imparare ad accontentarci. Inoltre dietro quello che compriamo non possiamo sapere cosa c'è.

 

Nella seconda lezione abbiamo parlato delle etichette del nostro abbigliamento, riportando su un foglio il paese e il materiale  in cui viene prodotto.

 

Ciò che forse ci ha toccato di più è stata la visione di un video.

 

Indescrivibile.

 

Sentire tutti quei bambini e quei ragazzi, che si fanno in quattro per guadagnare qualcosa, che spesso e volentieri non mangiano per lasciare il poco cibo ai genitori malati. Un filmato che ci ha reso attenti e silenziosi.

 

Tutti noi siamo abituati a prendere il meglio della vita, a evitare i problemi più grandi, intanto c'è sempre qualcuno che lo fa per noi, forse dobbiamo pensare anche un po’ agli altri e al loro modo di vita.

 

 

 

Emma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mercoledì abbiamo partecipato ad un laboratorio con la Bottega della Solidarietà.

 

Inizialmente siamo stati divisi in quattro gruppi, per simulare il lavoro in una fabbrica di tappetini in Bangladesh. L’obbiettivo era produrre il numero maggiore di tappetini di carta e di qualità migliore  con pagamento a cottimo.

 

Alla fine della produzione la volontaria del progetto ha valutato i nostri lavori e rispetto a questi ci ha pagati, in taka, la moneta del Bangladesh. Così abbiamo iniziato la nostra ipotetica vita in questo paese, famoso per la produzione di vestiti sportivi.

 

Dopo la consegna del paniere, ovvero del foglio su cui erano appuntati i costi dello stretto necessario per vivere, ci siamo stupiti molto, perché rispetto ai nostri stipendi sembrava pressoché impossibile vivere in modo decente, soprattutto nel confronto con le nostre vite qui in Italia.

 

Abbiamo comunque provato a calcolare lo stretto necessario per un mese.

 

 

 

Durante il secondo incontro abbiamo visto un breve documentario sulla condizione delle fabbriche in questi paesi, passando da grandi palazzi puliti e ben organizzati a sotterranei colmi di rifiuti.

 

Il proprietario dell’ultima fabbrica dice di sapere che per lui lavorano anche dei ragazzi minorenni, e che questo è illegale, ma non è lui che li obbliga a lavorare, sono loro a  chiederglielo.

 

La giornalista ci mostra anche le testimonianze di alcuni bambini che sono felici di lavorare nel settore tessile e che sperano che quello diventi il loro futuro e di altri che sono costretti a lavorare per mantenere la propria famiglia.

 

 

 

In seguito abbiamo controllato la provenienza e il materiale di produzione dei nostri vestiti: alcuni provenivano dalla Malesia, dalla Cina, dal Vietnam e dal Bangladesh.

 

 

 

 

 

Francesca

 

 

 

 

 

L’esperta della bottega della solidarietà  ci ha fatto scoprire che una gran quantità di capi di abbigliamento italiani ed europei provengono dalla Cina, Bangladesh,  Egitto, Vietnam, India e molti altri Paesi Orientali.

 

Dopodiché abbiamo visto un documentario sulla vita delle persone in Bangladesh, una giornalista spagnola si è recata inizialmente in una bottega tessile in condizioni igieniche adeguate, ma poi ci ha condotto in uno scantinato di periferia dove lavorano bambini.

 

In Bangladesh è illegale far lavorare ragazzi sotto i sedici anni ma molti bambini sono costretti a guadagnare Taka, moneta del Bangladesh, per le loro famiglie spesso malate o senza cibo.

 

Aggirandosi per le stanze della fabbrica si potevano notare ragazzini, bambini di dieci, undici, dodici anni o anche meno, che producevano una grande quantità di vestiti o abiti.

 

Il proprietario della bottega accoglie minori soprattutto perché gli adulti costano di più, ma anche perché sono gli stessi bambini a proporsi per bisogno.

 

La fabbrica ha l’aspetto di una  discarica, sporcizia e cartacce coprono il pavimento, nelle stanze non ci sono finestre solo delle bocche d’aria nel soffitto.

 

Una ragazza dice alla giornalista << Pregate per me>>, è veramente inconcepibile che una ragazzina di quindici anni per la povertà debba lavorare ore e ore in condizioni degradanti per solo 30 euro al mese.

 

Verso la fine dell’ora abbiamo creato una tabella in cui inserire la provenienza e i materiali dei nostri vestiti.

 

Molte nostre magliette provengono da Bangladesh o Cina molte paia di scarpe invece in Vietnam.

 

Ci siamo divertiti molto a lavorare con la bottega della solidarietà e speriamo di ripetere questa esperienza altre volte.

 

 

 

Sofia