RACCONTI


 

IL BARISTA SCOMPARSO

 

 

 

Tutto cominciò quel mattino... Dopo aver trascorso una settimana di meritate ferie nel sud dell’Inghilterra, come d’abitudine l’ispettore Paul si recó nel suo pub preferito nella periferia di Londra prima di prestare servizio alla stazione di polizia.

 

Si sedette al bancone chiedendo il solito, sperando che James il gestore del bar lo servisse rapidamente. Ma quel giorno non fu così.

 

A servirlo fu un uomo di corporatura robusta, con due baffetti neri, spalle larghe, con una collana d’oro al collo e numerosi tatuaggi sulle braccia.

 

Dopo aver bevuto, l’ispettore chiese agli altri clienti abituali del pub chi fosse quel nuovo barista. L’unica a rispondergli fu la signorina Girard. Gli disse che si chiamava Adrian e che era il nuovo socio di James. L’ispettore la ringrazió, uscí dal locale e si diresse verso la stazione di polizia che si trovava a solo un isolato dal lí ripensando lungo il tragitto all’uomo che lo aveva appena servito.

 

La giornata si svolse come tutte le altre appena trascorse, noiosa e ripetitiva senza particolari casi da risolvere. Fu difficile arrivare alla sera.

 

La mattina del giorno seguente fu ancora piú fredda di quella del giorno prima. Dopo essere uscito di casa, l’ispettore Paul si diresse allo stesso pub dove ordinó una cioccolata calda per riscaldarsi, e come il giorno prima non vi era traccia di James. A servirlo fu sempre il nuovo barista che era sempre lì al bancone ad accontentare le richieste dei clienti.

 

Tra i clienti si sparse la voce che doveva essere successo qualcosa a James, il quale era noto per non assentarsi mai dal lavoro: servire birre e liquori vari e a scambiare quattro chiacchiere con il cliente di turno. Il nuovo tizio era invece taciturno e dava poca confidenza.

 

Nei giorni successivi la situazione non cambió: nessuno sapeva che fine avesse fatto il buon James e l’ispettore Paul cominció a insospettirsi di quel barista che dava di malavoglia le risposte alle domande curiose dei clienti che chiedevano insistentemente notizie su che fine avesse fatto il suo collega.

 

Una sera, al termine della chiusura del locale, l’ispettore decise di seguirlo fino a casa sua.

 

Il barista viveva in un villino circondato da folti alberi situato nella periferia a sud di Londra. Il villino era circondato da mura e l’unico ingresso era un enorme cancello in ferro battuto dall’aria malandata.

 

Bene, ora Paul sapeva il cognome e l’indirizzo: Il barista si chiamava Smith. Dopo un’ultima occhiata, l’ispettore ritornò a casa.

 

L’indomani Paul si recò direttamente in centrale per cercare informazioni su Adrian Smith. Dalla banca dati della polizia venne a sapere che era già stato due volte divorziato, che aveva vissuto per un periodo all’estero e che era stato piú volte arrestato per aver compiuto piccoli furti.

 

Così la sera del giorno dopo, durante il turno di lavoro di Adrian, l’ispettore si diresse verso il villino. Egli notò sul muro posteriore delle pietre sporgenti che potevano servire da scaletta, ne approfittó e passó così oltre il muro.

 

L’ispettore notó una finestra aperta, rapidamente diede un’occhiata all’interno senza vedere traccia di nessuno, allora iniziò a perlustrare la casa: ma niente di insolito fino a quando non notò una piccola porticina, doveva condurre in cantina.

 

Sceso giù sentì delle lamentele, finalmente trovò James che era legato e aveva un bavaglio in bocca, l’ispettore lo slegò e James gli raccontò tutto ciò che era successo.

 

Adrian era diventato da poco il nuovo socio di James nella gestione del pub,

 

però in seguito a troppi sperperi nel gioco d’azzardo, questi non aveva più la possibilità di pagare la quota tra di loro stabilita. Invitato da Adrian a casa sua per parlare del debito, Adrian perse la testa e colpì James facendolo svenire. La sua intenzione era quella di ucciderlo, far scomparire il cadavere e rimanere il solo proprietario del locale.

 

Paul, dopo aver ascoltato la storia, chiamò un'ambulanza in modo tale da prestare i primi soccorsi a James ancora visibilmente provato, quindi chiamò la centrale per informare di quanto accaduto e richiedere rinforzi.

 

Dopo pochi minuti arrivarono tre agenti che insieme all’ispettore si recarono senza perdere tempo al pub. All’arrivo della polizia nel locale, Adrian non fece in tempo a scappare e venne arrestato sotto gli occhi di tutti i clienti increduli di quanto stesse accadendo.

 

Una volta portato in centrale, Adrian venne interrogato. Sapendo ormai di aver perso la partita, confermó in pieno quanto James aveva raccontato all’ispettore, quindi fu rinchiuso in cella.

 

Trascorsi alcuni giorni di riposo, James ritornò felice nel suo pub a servire le solite birre e i soliti liquori e a scambiare come sempre quattro chiacchiera con i suoi clienti, tra i quali l’ispettore Paul, che forse era il piú contento di tutti ad aver salvato la vita ad un vecchio amico.

ALBERTO

 

 

LA COLLANA SCOMPARSA

 

di Jacopo

 

Tutto iniziò quel mattino, quando Virginia scoprì che la sua collana era stata rubata.

 

Quella collana aveva un valore inestimabile per lei; gliel’aveva regalata suo padre, famoso archeologo.

 

L’aveva trovata durante uno scavo in Egitto ed era appartenuta alla figlia di un grande faraone quindi, non appena l’aveva vista, aveva pensato a lei. Aveva preso il primo aereo e gliel’aveva consegnata, raccomandandole di tenerla sempre in cassaforte.

 

Poi aveva ripreso l’aereo per Il Cairo, ma l’aereo era precipitato e la collana era l’ultimo ricordo che lei aveva di suo padre.

 

Virginia, triste e addolorata, per prima cosa chiamò la polizia.

 

Il caso venne affidato al famosissimo investigatore Burco, che più di una volta aveva trovato i colpevoli di furti e rapine.

 

Andò alla villa Rossi e per prima cosa rilevò le impronte sul cofanetto che custodiva la collana.

 

Ma come mai un gioiello così prezioso non era nella cassaforte? Virginia spiegò che aveva problemi di memoria, quindi non teneva la collana in cassaforte perché aveva paura di dimenticarne la combinazione.

 

L’investigatore iniziò allora a prendere le impronte ed interrogare la servitù.

 

Nessuna impronta sembrava coincidere.

 

Il maggiordomo e i camerieri avevano tra l’altro un ottimo alibi, dato che nei giorni precedenti al furto erano impegnati a ripulire la strada di accesso alla villa da un deposito di detriti che l’avevano in parte ostruita, in seguito ad un forte temporale.

 

Ma chi avrebbe allora mai potuto entrare nella villa, con la strada chiusa?

 

Il mistero si stava infittendo.

 

Burco intensificò l’interrogatorio a Virginia e scoprì che, alcuni giorni prima della frana, era andata ad un importante evento in città ed aveva indossato la collana. Poi era rientrata e i detriti avevano ostruito la strada.

 

La collana doveva essere quindi in casa, da qualche parte!

 

L’investigatore iniziò a cercarla e la trovò in un altro cofanetto, bella e splendente come sempre.

 

Virginia, con i suoi problemi di memoria, aveva dimenticato dove l’aveva messa!

 

Caso chiuso, mister Burco!

 

 

 

 

 

 

 

Il viaggio di Alessandro

 

Tutto cominciò quella mattina, era il 1870, in una casetta lontano da Castellabate, un paesino di pochi abitanti in provincia di Salerno, viveva Alessandro, un uomo di trentaquattro anni, che abitava con la moglie e i tre figli.

 

Lui lavorava come contadino e manteneva la sua famiglia con i pochi soldi che guadagnava ogni mese.

 

Sua moglie Chiara aveva trovato lavoro da poco in una sartoria, dove si occupava di cucire i colletti delle camicie e delle giacche.

 

I suoi giovani figli avevano dai sei ai quindici anni e tutti e tre aiutavano la madre con le faccende e il padre con il lavoro nei campi.

 

Nonostante gli innumerevoli sacrifici, i soldi guadagnati erano sempre molto pochi ed era difficile vivere in quelle condizioni.

 

La famiglia viveva in una vecchia casetta di mattoni, che aveva il tetto di assi di legno marce e dal quale, quando pioveva, l'acqua entrava e allagava le stanze, non si sarebbe retta in piedi a lungo, perciò Alessandro dovette cercare una nuova casa dove vivere in modo più tranquillo e senza la preoccupazione di perdere l'abitazione e non avere più posto dove restare.

 

L'uomo, che aveva un carattere molto forte e deciso, non poteva permettersi di lasciare la sua famiglia e tutto ciò che possedeva in quella situazione, per questo motivo corse in paese per cercare un nuovo alloggio, ma tutto ciò che trovò erano casette piccole o appartamenti di dimensioni troppo ridotte rispetto a quelle che cercava.

 

Dopo due giornate di ricerche inutili, iniziò a preoccuparsi ed entrò nel panico, cosa sarebbe successo se fossero rimasti senza casa?

 

Dove avrebbero vissuto i suoi figli?

 

Cosa avrebbe potuto fare in un momento del genere?

 

Quando tutto sembrava perso, bussò alla porta della casetta sperduta tra i campi, un uomo, aveva una cinquantina d'anni, Alessandro non lo riconobbe subito, ma quando gli parlò gli venne in mente che quello che a lui sembrava uno sconosciuto, era il suo prozio Antonio, che si era trasferito da circa quattro anni in una città vicina.

 

Il prozio era venuto a sapere della situazione del nipote e voleva parlargli, lo fece entrare e i due iniziarono a discutere sulla sua situazione ed i problemi che comportava.

 

Dopo quasi tre ore di conversazione i due uomini giunsero ad un compromesso, se Alessandro avesse lavorato per lui nella sua latteria per un mese, Antonio gli avrebbe pagato il viaggio verso ad una vita migliore: l'America.

 

Era l'unico luogo dove la famiglia poteva vivere serenamente e trovare un nuovo lavoro, garantendo ai figli un futuro migliore.

 

Alessandro accettò e dal giorno seguente iniziò a lavorare sodo nella latteria del prozio.

 

L'uomo, che doveva lavorare il doppio e occuparsi di tutto, era molto stanco, ma quello era l'unico modo per guadagnarsi dei soldi per partire.

 

Tornato a casa dalla sua ultima giornata di lavoro, diede la bella notizia alla famiglia e invitò i figli e la madre a fare le valigie per partire il giorno dopo.

 

I genitori e i tre giovani ragazzi misero vestiti, soldi, documenti e i pochi oggetti di valore nelle loro borse e andarono a letto.

 

La fatidica mattinata del 7 luglio 1870, tutti si svegliarono all'alba, andarono a salutare il prozio Antonio e si diressero, sopra alla carrozza trainata da due cavalli bianchi che aveva pagato lui, al porto più vicino, quello di Napoli.

 

Rimasero stupiti, non erano mai arrivati così lontano, era uno dei porti più importanti d'Europa e quelle navi gigantesche li lasciarono sbalorditi.

 

Verso le otto si imbarcarono e con i bagagli salirono.

 

A mezzogiorno la nave doveva salpare, la famiglia aveva lasciato tutto nelle cabine e si diresse a prua, salutarono Napoli e tutte le persone che aspettavano che la nave partisse, la loro avventura era iniziata.

 

Il viaggio sarebbe dovuto durare venti giorni, Alessandro non sapeva se quello sarebbe stato un viaggio di sola andata ma aveva il presentimento che un giorno sarebbe tornato per ringraziare il prozio.

 

Per problemi il viaggio duró ventisei giorni.

 

Ogni ora che passava su quella nave Alessandro, guardava l'oceano, una distesa enorme di acqua salata che lo affascinava, non avendo mai superato la soglia del paesino di Castellabate, in quel momento qualunque cosa lui vedesse rimaneva a bocca spalancata, era come se avesse scoperto un nuovo mondo.

 

Il 2 agosto la famiglia sbarcò finalmente a New York, una città favolosa, non avevano mai visto nulla di simile, lì mostrarono i documenti, furono schedati e gli venne chiesta la loro destinazione.

 

Dopo aver superato i controlli e l'interrogatorio la famiglia si diresse all'indirizzo che gli aveva scritto Antonio e successivamente arrivarono nel luogo indicato, la loro nuova casa.

 

Era favolosa! Era una villetta su due piani, con quattro camere da letto, una cucina e due bagni, proprio ciò che Alessandro desiderava per loro.

 

Quanto solcarono la soglia, la moglie Chiara iniziò a piangere dalla commozione e dalla contentezza e i tre figli saltarono dalla gioia, non sapevano cosa dire, erano stupefatti, la loro vita era cambiata, ma si sarebbero ambientati?

 

Chiara e Alessandro trovarono un lavoro, la moglie in un cotonificio e Alessandro in una fabbrica.

 

Il problema dei soldi era ormai finito, i giovani iniziarono ad andare a scuola, due figli alle scuole elementari e un figlio alle superiori, pronti ad imparare per migliorare i loro studi.

 

La famiglia trascorse a New York quasi trent'anni e quando i figli erano ormai cresciuti decisero tutti insieme di tornare in Italia, a Castellabate, per rivedere la loro patria e ringraziare zio Antonio.

 

Verso gli inizi del nuovo secolo, il Novecento, la famiglia approdó a Napoli, da dove erano partiti, e si diresse verso il loro paese.

 

Arrivati trovarono il prozio, era anziano ormai, aveva quasi ottant'anni, lo ringraziarono infinitamente una seconda volta e lo invitarono a trasferirsi a New York con loro.

 

L'uomo rifiutò e spiegò che avrebbe voluto trascorrere lì i suoi ultimi anni.

 

Loro capirono, gli restituirono tutti i soldi che aveva prestato loro e gli parlarono della loro nuova vita.

 

Questa famiglia, che come tante in quel periodo è dovuta emigrare all'estero per cercare fortuna, è stata molto fortunata, nonostante la condizione economica gravissima, sono stati baciati dalla fortuna e, con un dono, la loro vita è completamente cambiata grazie al loro spirito di avventura.

 

 MATILDE

 

 

Questa mattina mi sono alzata con una strana sensazione, il cuore mi batteva a mille, erano le sei, non sapevo come comportarmi, ad un tratto mi è salita l'ansia e sono scoppiata in lacrime sul mio letto.

 

Il mio nome è Lara, sono una ragazza di quindici anni e vivo in paese in provincia di Torino insieme ai miei genitori adottivi, che mi hanno salvata, all'età di sei anni, dall’orfanotrofio, dopo la scomparsa dei miei genitori.

 

La mia vita è monotona, ho pochi amici e passo la maggior parte del mio tempo in casa, a leggere libri, il mio genere preferito è il giallo.

 

Ogni mattino mi sveglio alle sei, mi alzo, mi vesto e mi preparo per prendere l'autobus per andare a scuola, frequento il liceo artistico, sono al secondo anno.

 

Non ho un buon rapporto con la scuola, non mi piace studiare e odio la mia classe, la mia materia preferita è arte, perché è l'unica in cui posso esprimere i miei sentimenti disegnando.

 

Nonostante il mio liceo sia abbastanza piccolo e con pochi studenti, in classe non sono a mio agio, forse è perché mi piace stare da sola e pensare, o perché a nessuno dei miei compagni piace il mio carattere.

 

Siamo in sedici, otto femmine e otto maschi, tra le ragazze la mia migliore amica è Giulia, una ragazza semplice, ma l'unica che riesce a farmi divertire, e mi aiuta nei momenti tristi o complicati, è molto tranquilla ma allo stesso tempo ha un carattere forte.

 

È solo grazie a lei se alla mattina mi alzo con la voglia di andare a scuola per incontrarla.

 

Verso le quattordici di solito torno a casa, pranzo e mi stendo sul letto con il mio amatissimo libro, lo leggo per qualche ora e poi mi preparo per andare all'appuntamento al parchetto con Giulia.

 

Passo pomeriggi interi con lei, è l'unica che riesce a farmi sentire importante, non so cosa farei senza di lei, probabilmente mi rinchiuderei in casa e non uscirei più o forse lascerei la scuola.

 

Torno a casa verso le venti circa, ceno e mi chiudo nella mia camera fino alla mattina seguente.

 

Ogni giorno è uguale a quello precedente e io non cambio mai, sono sempre la stessa ragazza monotona e depressa di ogni giorno, ma questo è il mio carattere e non posso farci nulla.

 

A scuola mi chiamano “asociale”, un termine che odio, semplicemente non mi piace stare con le persone della mia classe, perché non interesso a nessuno e tutti se ne fregano dei miei sentimenti, tranne Giulia.

 

Già da piccola a scuola non andavo bene e cercavo sempre qualche scusa per chiamare mia madre e farmi portare a casa.

 

Alle medie le professoresse mi odiavano e dicevano che ero svogliata e che non mi interessavo delle lezioni.

 

In effetti è vero, ancora adesso mi comporto così, non mi preoccupo di cosa possa accadere in futuro.

 

Tutto cambia il nove settembre 2017, è una giornata come tutte le altre, sono a scuola e sto scrivendo un testo, proprio in quel momento di fianco a me vedo Giulia, non mi rivolge la parola, sembra cambiata, ha un aspetto triste, è strana.

 

Alla fine delle lezioni mi dà un biglietto “ci vediamo al parchetto alle sedici”, ma continua a non parlarmi.

 

Io vado a casa preoccupata, non pranzo e penso a ciò che può esserle successo, magari sta male, oppure ha litigato con qualcuno.

 

La causa della sua stranezza la scopro due ore dopo, quando Giulia varca la soglia del parchetto e piangendo mi dice: che dopo due giorni si sarebbe trasferita in Germania a causa del lavoro di suo padre.

 

Io rimango ferma per quasi dieci secondi e poi scoppio in lacrime con lei, non l'ho mai vista così, come avrei fatto ora?

 

Cosa posso fare?

 

Mi sento malissimo, la consolo, ma sto soffrendo molto.

 

Cerco di passare le ultime due giornate che mi restano con lei nel modo migliore: passando insieme più tempo possibile, divertendomi e parlandole di tutto ciò che mi passa per la mente.

 

Il tempo passa molto veloce e arriva in fretta la mattina dell'undici settembre, devo alzarmi in fretta, ma quel mattino una bruttissima sensazione mi colpisce lo stomaco e inizio a piangere.

 

Prima di andare a scuola mi fermo a casa sua e la saluto veloce, non le dico nulla, non ho più niente da dire.

 

Sono passati tre anni da quando lei se n’è andata, il primo anno è stata dura, stavo male e mi hanno bocciata, ho ripetuto l'anno, ma con il tempo mi sono abituata, ho imparato a stare con i miei compagni, ho capito che studiare è importante è che devo imparare a migliorarmi, sono orgogliosa di me, ma continuo a pensare agli anni passati, quei tempi brutti e quei giorni scuri che ho passato stando da sola e ora sto cercando di pensare al futuro.

 

Con Giulia ci sentiamo spesso e mi ha detto che presto tornerà a salutarmi.