LA GELOSA RICHEZZA

 

A Las Vegas, una città ricca, risiedeva Henry Jeckson, un direttore di banca di un’ agenzia locale.

 

Nel 1992, Jeckson aveva trentotto anni quando a causa della forte gelosia nei confronti della sua ex fidanzata commise un errore che gli cambiò per sempre la vita.

 

La sua ex fidanzata iniziò a frequentare Treach Gere, figlio del noto attore Richard Gere, insieme i due conducevano uno stile di vita invidiabile, e di questo Jeckson ne pativa molto.

 

L'unico modo per riconquistare Elaisa, la sua ex fidanzata, era riuscire ad avere un tenore di vita alto.

 

Il 23 novembre, Jeckson pensò che la soluzione fosse rapinare la propria banca; infatti, escogitò un rapido piano, alle 2:00 di notte, disattivò le telecamere del circuito interno della banca, indossò un passamontagna entrò e minacciando con la pistola la guardia di vigilanza si fece consegnare le chiavi del cassaforte.

 

Velocemente prese dieci lingotti d'oro, chiuse la guardia all'interno e scappò.

 

Erano le 2:10 quando riattivò le telecamere di sicurezza.

 

Il giorno seguente, al momento dell'apertura, quando i dipendenti entrarono nelle banca subito sentirono le urla del vigilante. Nel frattempo arrivò anche Jeckson facendo finta di nulla, fece la faccia meravigliata e fu lui stesso ad avvertire la polizia sicuro di non essere scoperto. Le indagini venivano svolte dal detective Olish che si mise subito al lavoro, interrogando tutte le persone che lavorarono all'interno della banca. Chiese di visualizzare le riprese della banca registrate durante la notte e si accorse che mancavano le riprese dalle 2:00 alle 2:10. Il detective insospettito allargò le indagini, alla visualizzazione d'immagini registrate da telecamere che si trovano nelle vicinanze della banca e fece una clamorosa scoperta. Si vedeva da una telecamera comunale, posta dietro la banca, che all’ 1:58 un uomo con un passamontagna entrava all'Interno della banca e lo stesso uomo alle 2:11 usciva con un sacco togliendosi il passamontagna, non c'erano dubbi era il direttore.

 

 A quel punto il detective chiamò in caserma Jeckson gli mostrò le riprese; e Jeckson crollò.

 

Il sospettato dai capelli rossi

 

 

 

Il commissario Marlock si trovò nel pub “The white tower” di Baker Street a Londra a bere la sua solita birra rossa quando ricevette una chiamata dalla centrale di polizia.

 

-Si, Paul, mi dica.

 

-Mi scusi commissario se la disturbo, posso parlarle?

 

-Non mi disturba affatto, mi dica.

 

-C’è stato un omicidio nella periferia sud di Londra.Potrebbe rientrare in centrale?

 

-Tempo di finire la birra e arrivo.

 

A causa del traffico, Marlock ci impiegò più di un’ora, e appena mise piede nel suo ufficio, arrivò Paul per spiegargli la situazione.

 

-Le posso spiegare i dettagli di quanto é successo?

 

-Si, certo.

 

- L’ omicidio è avvenuto verso le 18 di questa sera. Siamo stati contattati da una signora che ci ha segnalato di aver trovato una persona morta all’interno di un appartamento.

 

-Come ha fatto ad entrare nell’appartamento la signora?

 

-La signora uscendo dal suo appartamento per andare a buttare la spazzatura ha trovato la porta del suo vicino aperta e così ha deciso di entrare, scoprendo il corpo della vittima disteso sulla scrivania davanti al computer con un pugnale conficcato nel collo.

 

Marlock decise quindi di recarsi insieme e Paul sul luogo del delitto.

 

Entrati nell’appartamento, dopo aver interrogato nuovamente la vicina di casa, si avvicinarono al corpo e notarono subito per terra una bandana gialla con un disegno di una motocicletta.

 

Il commissario vide che la persona uccisa stava lavorando con il proprio computer portatile in cui era inserita una chiavetta dati sporca di sangue.

 

Il commissario chiese a Paul: -Quelli della Scientifica hanno già completato il sopralluogo?

 

-Direi di sí.

 

-E come si chiamava la vittima?

 

-James Taylor, trentatrè anni.Viveva qui da solo.

 

-Faccia sapere alla Scientifica che voglio i risultati entro quarantotto ore, se possibile.

 

-Ai suoi ordini.

 

-Ci sono persone che hanno visto uscire dal palazzo qualcuno di sospetto?

 

-Abbiamo interrogato i vicini e uno ci ha riferito di aver visto dalla finestra un tizio andare via di fretta e salire su una motocicletta.

 

-Va bene Paul, ci aggiorniamo domani in centrale. Buonanotte.

 

-Buonanotte a lei, commissario.

 

-L’indomani Marlock e il suo vice Paul Kane si ritrovarono alla centrale e durante una pausa caffè nella quale riassunsero i fatti accaduti la sera prima, il commissario ricevette una chiamata dalla Scientifica.

 

-Fantastico Paul! Hanno già analizzato la bandana e hanno trovato dei capelli rossi infilati nel nodo.

 

Nel frattempo arrivò il sergente Smith.

 

-Commissario, come mi ha chiesto ho fatto una ricerca sul disegno presente sulla bandana e ho scoperto che viene indossata da un gruppo di motociclisti che di solito si ritrovano in un locale non lontano dalla casa in cui è avvenuto l’omicidio.

 

-Paul - disse Marlock - voglio i nomi dei motociclisti che frequentano quel locale con i capelli rossi.

 

-Va bene commissario, farò il possibile per portarle la lista entro stasera. Penso di conoscere il proprietario del locale e gli chiederò i nomi.

 

Il vice di Marlock ritornò per le 16 con la lista dei nomi.

 

-Ecco commissario, abbiamo tre nomi. Il primo, Steven Morris,è ricoverato da dieci giorni in ospedale a causa di un incidente in moto. Il secondo, Simon Brown, è attualmente all’estero per lavoro. L’ultimo, Jason Curry, ha dei precedenti penali per spaccio di droga ed è stato più volte segnalato per atteggiamenti squilibrati. Ieri è arrivato nel locale verso le sei e mezza. In più il proprietario mi ha riferito che ieri stranamente non aveva la sua bandana.

 

-Potrebbe essere lui il nostro uomo allora. Paul vada con Smith e un altro agente nel locale e se trovate questa persona portatela subito quì per interrogarlo. Io intanto chiedo alla Scientifica la chiavetta dati per analizzare il suo contenuto e la bandana ritrovata.

 

-Agli ordini commissario.

 

Poco più tardi, dopo aver ricevuto la chiavetta Marlock la inserì nel proprio computer e cominciò ad analizzarne il contenuto.

 

Notò subito che al suo interno vi erano delle foto che mostravano più volte la vittima insieme ad una persona con i capelli rossi su una motocicletta.

 

Nel frattempo ritornarono Kane e Smith con il sospettato dai capelli rossi, che prontamente fu interrogato dal commissario Marlock.

 

Marlock gli disse: -Signor Curry abbiamo dei forti sospetti,.... lei ieri ha ucciso James Taylor?

 

Balbettando, rispose: -No, non so chi sia.

 

Marlock a quel punto girò il monitor e gli disse: -La riconosce questa foto?

 

-Sì, la riconosco. L’uomo della foto sono io.

 

A quel punto Marlock tirò fuori dal cassetto della scrivania la bandana e gliela mostrò.

 

-Abbiamo trovato questa bandana a casa della vittima, e per caso sua?

 

Curry subito la riconobbe. E Marlock dall’espressione del suo viso capì  che l’uomo era ormai perduto.

 

Poco dopo Curry ammise la sua colpevolezza. Raccontò al commissario che durante un litigio con la vittima, in preda a un improvvisa pazzia, estrasse il pugnale e lo uccise.

 

In seguito a questa deposizione, Marlock disse a Paul: - Portate quest’uomo in cella.

E uscì per la sua solita birra...

 

 Alberto

 

 

 

 

Il caso Ronaldo

 

 

 

 

 

Era una calda sera di luglio dell’estate 2019 molto afosa e fastidiosa. A Torino era appena trascorsa una giornata dalla temperatura cocente. Marco, come ogni sera, era nella caserma di polizia a finire il lavoro. - è stata una giornata faticosa, non è vero commissario?- disse Fabrizio, il sottoposto di Marco. -Già… per fortuna ora si va a casa-. In quel momento irruppe Giulio, un altro sottoposto del commissario. -Commissario! Commissario! È successo qualcosa di incredibile!-. -Che cosa? Forza, non tenerci sulle spine!- rispose Marco. -Cristiano Ronaldo, il famosissimo attaccante della Juventus… è stato ritrovato morto in casa sua dalla moglie. Sopra il cadavere a terra c’era una pistola, su cui era dipinta una “X” rossa.-. Nella stanza calò un silenzio tombale, che si protrasse per alcuni secondi, finché Marco non parlò. -Andiamo subito sul posto. Casa sua è vicina, le indagini saranno assegnate a noi.-. Marco, Fabrizio e Giulio si recarono a casa dell’ormai defunto calciatore, mentre, irrimediabilmente, la notizia si espanse a macchia d’olio. Le indagini cominciarono dalla pistola. -Nessun’impronta digitale… l’assassino deve aver indossato dei guanti. Sicuramente non è uno sprovveduto.- disse il commissario. Il corpo non riportava ferite da arma da fuoco. Ronaldo non era stato ucciso da quella pistola. Probabilmente quello era solo un avvertimento: se qualcuno avesse provato ad indagare troppo a fondo avrebbe fatto una brutta fine. La bocca odorava di mandorle amare, questo voleva dire che era avvelenato e che il delitto non era accaduto che poche ore prima. Marco osservò a lungo il volto del giocatore: c’era qualcosa che non andava. -Cosa succede, commissario? Ha trovato qualcosa?- chiese Fabrizio. -Non saprei… sai che sono un grande tifoso della Juve, no? Beh, conosco alla perfezione il volto di ogni giocatore, ma questo… non so, ricordavo il suo volto diverso… mah, sarà solo una mia impressione. Piuttosto, qui davanti c’è una farmacia, con annesse delle telecamere di sicurezza. Andiamo a vedere se hanno registrato qualcosa di interessante.-. Marco e gli altri andarono alla farmacia, e fu ovviamente facile convincere il titolare del negozio a mostrare loro le registrazioni. -Dunque- disse Giulio -vediamo un po’... ecco! Un’auto si è fermata davanti alla casa di Ronaldo alle 22:17… ne sono usciti due uomini. Sono entrati tutti e due in casa e ne sono usciti alle 22:23.-. -Ma ne è uscito solo uno!- ribatté Marco -È rientrato in macchina e si è allontanato molto velocemente… dalle registrazioni sembra che l’altro uomo sia ancora in casa. Ma l’abbiamo perlustrata tutta, non è possib… !-. E in un momento la mente di Marco si illuminò: ora era tutto chiaro. -Certo! Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava in quel viso!-. -Si vuole spiegare, commissario? Che cos’ha capito?- rispose Fabrizio. -Vi spiegherò tutto, tranquilli. Ora però dobbiamo andare.-. -Dove?-. -All'aeroporto di Torino Caselle. Forza, andiamo!-. Fabrizio e Giulio seguirono Marco in macchina, che iniziò a esporre la sua contorta teoria. -Dunque, vi spiegherò: Ronaldo, durante Juventus-Inter dello scorso anno, ebbe uno scontro con un giocatore nerazzurro, e finirono alle mani. Naingolann, il giocatore in questione, lo colpì violentemente al volto, causando al portoghese una cicatrice. I dottori dissero che non se ne sarebbe mai andata. Ebbene, allora perché il cadavere non aveva la cicatrice? Era questa la cosa che non andava! Unendo questa “prova” alle recenti notizie, che lo vedevano pervaso dal demone del gioco d’azzardo, e che affermavano che avesse perso un bel po’ di soldi, posso dire che Ronaldo non è morto. Ha solo inscenato la sua morte.-. -Ha perso il senno, per caso? Lo ha visto anche lei il cadavere! E non era certo di silicone o di plastica, era vero!- ribatté Giulio. -E se fosse stato… un sosia? Riflettici Giulio, e capirai che non è così assurda come teoria. Sappiamo inoltre che non era in buoni rapporti con la moglie, e questo, unito alla perdita di denaro, potrebbe averlo imposto a scappare inscenando la propria morte. La pistola era un avvertimento a non scavare troppo in fondo a questa storia, in modo da non poterlo più trovare.-. -Ma non è più semplice pensare ad un suicidio?-. -No. È un uomo troppo attaccato alla vita per suicidarsi. E poi, la cicatrice? Come me la spieghi? In ogni caso, siamo arrivati.-. I tre scesero dall’auto ed entrarono di corsa nell’aeroporto. Perlustrarono velocemente ogni gate cercando un uomo corrispondente all’identikit del giocatore, e lo trovarono. Era in partenza verso Malaga. -Fermati!- urlò Marco. Ronaldo non potè fare niente: venne arrestato e portato al commissariato. Lì confesso: il calciatore non era in buoni rapporti con la moglie e con la squadra, in più stava consumando i suoi soldi nel gioco d’azzardo: aveva in mente di ritirarsi e di lasciare la moglie, ma cosa avrebbe pensato la gente di lui? E così gli venne in mente un piano: iniziò a cercare in giro per il mondo un suo sosia che fosse a conoscenza della somiglianza e che lo ammirasse, per invitarlo a casa propria dicendogli di dover registrare un video con lui per una trasmissione televisiva; Ronaldo trovò questa persona in Freddy Taylor, un giovane inglese fan del calciatore bianconero. Ronaldo lo invitò a casa, lo avvelenò e infine scambiò i suoi documenti con quelli del giovane, per poi prendere il volo già prenotato per Malaga e da lì far perdere le proprie tracce, magari scappando in un'isola al largo delle coste spagnole. -Un piano incredibile, -disse Marco- ben congegnato e curato, tranne per un dettaglio: ti sei dimenticato di infliggere a Freddy la tua cicatrice, e hai avuto la sfortuna di aver incontrato un ultras juventino sul tuo cammino. Sai, per me è difficile mandarti in galera. Portatelo in cella!-. Quel giorno per Marco fu molto difficile: aveva appena arrestato il suo idolo.

 

Daniele

 

 

OMICIDIO IN HOTEL

 

Era una calda mattina d’estate. L’ispettore Smith si trovava nel pub “The six flowers” di Fulham a Londra per godersi una birra ghiacciata prima di prendere servizio, quando ricevette una chiamata dalla centrale di polizia. Era il vice ispettore Chris Brown che chiedeva all’ispettore di tornare urgentemente in ufficio.

 

Una volta arrivato, Brown spiegò all’ispettore che c’era un nuovo caso riguardante una donna trovata uccisa nell' Hotel Bristol, nel quartiere di Tottenham, all’interno del bagno della propria stanza.

 

Senza perdere un attimo, Smith e Brown si recarono immediatamente all’hotel. Dopo essersi presentati al responsabile della reception, questi comunicò all’ispettore il nome della vittima, tale Ludovica Pagani, italiana di quarantadue anni, celibe, in passato già più volte cliente dell’hotel. Quest’ultima era arrivata da pochi giorni a Londra ed aveva chiesto di soggiornare nella stessa camera delle volte precedenti, la 305 situata al terzo piano.

 

Prima di recarsi nella camera, Smith inizió ad interrogare il personale cominciando dalle donne delle pulizie di quel piano. Una di loro disse all’ispettore che quella mattina, entrando per pulire la camera, aveva trovato il corpo della povera signora Pagani disteso per terra nel bagno e la camera con le finestre spalancate.

 

Dopo aver raccolto tutte le deposizioni, l’ispettore ed il suo vice Brown si diressero verso la camera 305 ed una volta entrati nella stanza proseguirono per il bagno, dove giaceva il corpo della donna. Osservando da vicino la vittima, Brown notò che sul collo vi era un evidente segno di strangolamento. Vicino al cadavere infatti, gettata per terra, vi era una cintura in pelle da donna. Smith capì subito che l’assassino, per uccidere Ludovica Pagani, aveva usato quella cintura, probabilmente presa da qualche pantalone della vittima.

 

Dopo aver lasciato via libera agli agenti della scientifica arrivati sul posto, Smith ed il vice ispettore Brown ritornarono al piano terra e chiesero di poter visionare i video delle telecamere posizionate all’interno ed all’esterno dell’hotel. Dalle registrazioni di quelle esterne, videro che l’assassino per entrare nella camera della vittima era passato dal balcone della camera di fianco, la 304, scavalcando il divisorio che le separava, ed aveva approfittato delle finestre lasciate aperte probabilmente per il caldo. L’ispettore dedusse che l’assassino una volta entrato nella stanza si era nascosto dietro la porta del bagno, in attesa del rientro in camera della povera Ludovica Pagani. Entrata in bagno, si sarebbe poi vista assalire senza poter opporre resistenza.

 

Smith ed il suo vice arrivarono alla prima ipotesi che l’assassino poteva essere il cliente che si trovava nella camera 304, quella accanto alla camera della vittima. Controllando sul registro dei nomi e sulla copia dei documenti dei clienti dell’hotel, l’ispettore riuscì a risalire ad un certo Tom Kane, di quarantasette anni, residente a Redhill, a pochi chilometri da Londra.

 

L’ispettore, insieme al suo vice Brown e ad altri due agenti di polizia, si diressero immediatamente verso la casa del probabile assassino. Arrivati presso l’abitazione della persona sospettata, riuscirono a forzare la porta d’ingresso e ad entrarvi all’interno, cogliendo l’uomo di sorpresa. L’ispettore Smith spiegò a Tom Kane quanto era accaduto all’Hotel Bristol e che egli aveva un forte sospetto che lui avesse ucciso la signora Ludovica Pagani e gli chiese se ne sapeva qualcosa; Tom annuì. Poi gli mostrò la cintura con cui aveva ucciso la vittima e Kane subito la riconobbe; Smith dall’espressione del suo viso capì subito che l’uomo era ormai perduto.

 

L’assassino ammise la sua colpevolezza e spiegò che un giorno, lui aveva prestato del denaro a Ludovica, ma lei non gliel’ aveva più restituito e lui aveva bisogno di avere quei soldi indietro.

 

Il commissario Smith disse a Brown di portare quell’uomo in prigione;  il caso era chiuso.

ALBERTO

 

LA MORTE DI MOEH GIOEH

 

A Tokyo, un enorme grattacielo era adibito alla ricerca e allo sviluppo informatico. Moeh Gioeh, il migliore cervello della ditta,  stava lavorando ad un progetto: lo sviluppo di ologrammi capaci di svolgere le attività dell’uomo.

 

Moeh entrò nell’ascensore di cristallo per andare al suo ufficio all’ultimo piano del grattacielo, per prendere il suo progetto, quando, l’ascensore si bloccò di colpo e Moeh Gioeh, attraverso il vetro, intravide una sagoma umana, subito dopo l’ascensore cominciò una corsa  fatale, che costò la vita a Moeh Gioeh.

 

La polizia si era precipitata subito sul luogo dell’incidente, con una squadra di medici e paramedici pronti a soccorrere Moeh Gioeh in caso fosse stato necessario, ma purtroppo quando fu estratto il corpo non ci fu niente da fare.

 

In seguito, gli investigatori si misero al lavoro per trovare la soluzione del caso. Gli indizi erano vaghi e scarseggiavano, ma alla fine trovarono una prova: un cacciavite vicino ai comandi dell’ascensore con cui, probabilmente, l’assassino lo aveva manomesso.

 

Nell’ufficio di Moeh Gioeh, gli investigatori trovarono una stampante che aveva in memoria un progetto su un ologramma proprio di Moeh.

 

Il cacciavite fu portato in laboratorio per fare delle analisi; si scoprì così che esso apparteneva ad un collega di Moeh Gioeh. Gli investigatori decisero subito di fermarlo ed interrogarlo.

 

Durante l’interrogatorio, il collega negava, ma le prove erano schiaccianti e messo sotto pressione, con l’invidia e la rabbia che lo invadevano, lui decise di confessare tutto: era invidioso del lavoro di Moeh Gioeh e per impossessarsene decise di porre fine alla vita del suo collega.

 

Gli investigatori decisero di incarcerare senza indugi il collega di Moeh, lo ammanettarono e mentre lo stavano portando in macchina, nell’immenso stupore di tutti ecco comparire da dietro l’angolo proprio Moeh Gioeh, vivo e vegeto.

 

“Ma come! Di chi è allora il corpo in obitorio!” Esclamarono tutti; nel frattempo il collega di Moeh preso dall’emozione svenne, cadendo a terra bruscamente. Gli investigatori decisero di chiamare subito l’ospedale: “Fate immediatamente l’autopsia del corpo, non ci capiamo più niente!”. Il medico legale procedette immediatamente… sorpresa! Il corpo non c’era più, al suo posto il dottore trovò uno strano emettitore olografico: il progetto di Moeh Gioeh!

 

Allora gli investigatori chiesero spiegazioni al vero Moeh Gioeh che  rispose loro: “Stavo lavorando su un progetto innovativo sullo sviluppo di ologrammi del tutto autonomi”, ma mentre gli investigatori ascoltavano Moeh, il suo collega si riprese e con prontezza afferrò la pistola dell’agente che aveva vicino e sparò a Moeh Gioeh, stavolta morí veramente. O forse no? 

 

 

 

 

 

 

 

LA MORTE DI MOEH GIOEH

 

A Tokyo, un enorme grattacielo era adibito alla ricerca e allo sviluppo informatico. Moeh Gioeh, il migliore cervello della ditta,  stava lavorando ad un progetto: lo sviluppo di ologrammi capaci di svolgere le attività dell’uomo.

 

Moeh entrò nell’ascensore di cristallo per andare al suo ufficio all’ultimo piano del grattacielo, per prendere il suo progetto, quando, l’ascensore si bloccò di colpo e Moeh Gioeh, attraverso il vetro, intravide una sagoma umana, subito dopo l’ascensore cominciò una corsa  fatale, che costò la vita a Moeh Gioeh.

 

La polizia si era precipitata subito sul luogo dell’incidente, con una squadra di medici e paramedici pronti a soccorrere Moeh Gioeh in caso fosse stato necessario, ma purtroppo quando fu estratto il corpo non ci fu niente da fare.

 

In seguito, gli investigatori si misero al lavoro per trovare la soluzione del caso. Gli indizi erano vaghi e scarseggiavano, ma alla fine trovarono una prova: un cacciavite vicino ai comandi dell’ascensore con cui, probabilmente, l’assassino lo aveva manomesso.

 

Nell’ufficio di Moeh Gioeh, gli investigatori trovarono una stampante che aveva in memoria un progetto su un ologramma proprio di Moeh.

 

Il cacciavite fu portato in laboratorio per fare delle analisi; si scoprì così che esso apparteneva ad un collega di Moeh Gioeh. Gli investigatori decisero subito di fermarlo ed interrogarlo.

 

Durante l’interrogatorio, il collega negava, ma le prove erano schiaccianti e messo sotto pressione, con l’invidia e la rabbia che lo invadevano, lui decise di confessare tutto: era invidioso del lavoro di Moeh Gioeh e per impossessarsene decise di porre fine alla vita del suo collega.

 

Gli investigatori decisero di incarcerare senza indugi il collega di Moeh, lo ammanettarono e mentre lo stavano portando in macchina, nell’immenso stupore di tutti ecco comparire da dietro l’angolo proprio Moeh Gioeh, vivo e vegeto.

 

“Ma come! Di chi è allora il corpo in obitorio!” Esclamarono tutti; nel frattempo il collega di Moeh preso dall’emozione svenne, cadendo a terra bruscamente. Gli investigatori decisero di chiamare subito l’ospedale: “Fate immediatamente l’autopsia del corpo, non ci capiamo più niente!”. Il medico legale procedette immediatamente… sorpresa! Il corpo non c’era più, al suo posto il dottore trovò uno strano emettitore olografico: il progetto di Moeh Gioeh!

 

Allora gli investigatori chiesero spiegazioni al vero Moeh Gioeh che  rispose loro: “Stavo lavorando su un progetto innovativo sullo sviluppo di ologrammi del tutto autonomi”, ma mentre gli investigatori ascoltavano Moeh, il suo collega si riprese e con prontezza afferrò la pistola dell’agente che aveva vicino e sparò a Moeh Gioeh, stavolta morí veramente. O forse no? 

 

Francesco

 

 

 

 

 

 

Mr. Wolfeng, e il suo addio.

 

 

 

Mr. Wolfeng era il paziente di uno ospizio, in California. Il suo patrimonio si aggirava sui 50000000$, ma non aveva un erede: i suoi genitori erano morti, era divorziato, e i contatti con i suoi figli erano nulli. Era solo, abbandonato, in fin di vita, e con un patrimonio decisamente importante.  Era la preda perfetta. Un giorno vide una vecchietta, che non aveva mai visto all’interno dell’ ospizio. Allora si informò chi fosse: era  una signora che voleva “far parte” dell’ ospizio, ma che prima voleva controllarlo, sembrava parecchio interessata alle decorazioni dorate. L’uomo si allarmò, ma proprio in quel momento sentì qualcosa conficcarsi nella sua schiena, ed una voce, di donna, gli disse:- E’ ora di riposare-. La vecchietta era “la gazza ladra” , poiché rubava sempre oggetti luccicanti, e uccideva i possibili testimoni. Da quel momento nessuno seppe più nulla della vecchietta.

 

Elvis

 

 

 

Sembrava un giorno come gli altri nella cittá dell’amore, Parigi; ma in questa storia che vi sto per narrare questa cittá si trasformerá in un luogo di tradimenti e invidia.

 

Nella villa Jonson viveva la coppia sposata Mike Jonson   e  Katrin Winsburg felicemente sposati da ben quattro anni. La coppia era giovane,e il 24 settembre 1980 Mike Jonson partì per l’America per motivi di lavoro per tre settimane.

 

Katrin rimase chiusa in casa per cinque giorni, poi decise di uscire a prendere un po' d’aria e si diresse in un pub dove incontrò Zack Doll, un cliente fisso.  Zack avvistò Katrin Winsburg ad un tavolo che beveva; sembrava una ragazza timida…

 

Zack si avvicinò e cominciò a corteggiarla, i due stettero insieme tutta la sera e Katrin affascinata da Zack iniziò una relazione in segreto.

 

Passarono le tre settimane, Mike tornò dal viaggio.

 

Katrin non riuscì a tenere questo peso addosso e quindi cercò di lasciare Zack e di dirlo a Mike, Zack comprese e Mike confessò che aveva anche lui un’amante Josin Sparrow. Dopo due giorni Katrin morì assassinata.

 

Da chi? Non si sapeva, ma non era un problema per la detective Jessie Smitt.

 

Venne arrestato l’amante Zack Doll per aver usato il suo coltellino per uccidere la vittima. Zack affermò di non aver mai toccato Katrin e che lui la amava e non le avrebbe mai fatto del male, ma  nessuno lo ascoltò e finì in prigione.

 

Passarono quattro anni dall’accaduto ma Jessie Smitt non era convinta, ma non trovò mai altra soluzione.

 

Irene

 

 

 

 

ERRORI GIUDIZIARI

 

 

 

Era una fredda mattina d’inverno quando venne assassinata la First Lady della Cina. Non si sapeva niente, ma niente di niente del perché, del dove, del come e del quando.

 

Il cadavere fu ritrovato sotto una coperta in fondo ai sacchi dell’immondizia da un netturbino mentre stava svuotando i cassonetti. Il netturbino spaventato avvertì subito  la polizia, che si mise alla ricerca del colpevole.

 

Giorni dopo, dopo parecchie ricerche furono trovate delle impronte sul cassonetto: appartenevano ad un ragazzo piuttosto giovane: aveva quindici anni, faceva il netturbino anche lui e si chiamava Arthur Jones, le sue erano le impronte più recenti e quindi era il primo sospettato.

 

La polizia decise di indagare sulla vita di Arthur e scoprirono che viveva in una famiglia piuttosto povera, per questo Arthur aveva bisogno di soldi da dare alla famiglia, si scoprì anche che andava piuttosto bene a scuola, tranne in educazione fisica.

 

La polizia decise di ottenere un mandato per perquisire la casa di Arthur, ma non trovarono niente di particolare tranne un coltello sporco di rosso, un rosso secco, vecchio.

 

Si scoprì che quel coltello era sporco proprio dal giorno in cui venne assassinata la First Lady! Ma era ketchup….

 

La polizia trovò altri sospettati, ma continuavano ad indagare principalmente su Arthur.

 

Un giorno la polizia trovò la prova definitiva per sbattere Arthur in prigione: nel suo zaino di scuola trovarono la collana appartenuta alla First Lady!

 

I genitori di Arthur vennero mandati in prigione ed Arthur in un riformatorio.

 

Passarono anni ed anni, sembrava sempre più strano che Arthur avesse ucciso qualcuno, era educato con tutti e salutava sempre, non portava rancore verso nessuno.

 

Dopo anni fu scoperta l’arma del delitto: una forchetta era stata usata per trafiggere la testa della First Lady fino ad ucciderla.

 

C’era però un problema, un enorme problema: la polizia era certa che quella forchetta fosse l’arma del delitto, il DNA nel sangue seccato su di essa era quello della First Lady, ma le impronte digitali sull’arma non erano quelle di Arthur!

 

Si scoprì che erano di un ragazzo di diciassette anni, di nome Anthony, che  fin dalla prima liceo aveva problemi con Arthur.

 

Fu quindi interrogato, era un ragazzo instabile di mente,  confessò subito tutto ed anche il movente: aveva chiesto ad Arthur di mandargli i compiti di matematica, ma Arthur se ne era dimenticato e  fu la goccia che fece traboccare il vaso, così decise di uccidere la First Lady per fare incolpare Arthur.

 

I genitori di Arthur furono rilasciati ed Arthur pure. La famiglia venne risarcita dalla polizia per l’errore giudiziario e da quel giorno in poi la famiglia Jones smise di essere povera, mentre la famiglia di Anthony finì in prigione, insieme al figlio.

Tommaso

 

Il castello di Dublino

 

 

 

C’era una volta un castello a Dublino abitato da un re. Una sera egli invitò a cena alcuni amici molto ricchi e alla fine della serata erano tutti scomparsi.

 

Oggi quel castello é diventato un hotel molto conosciuto a Dublino.

 

In questo castello si organizzano feste e matrimoni e il padrone Mr Stone si diverte a scherzare e a raccontare la leggenda sulla festa dell’antico re.

 

Una mattina, un ricco ragazzo di circa diciotto anni di nome Pete prenota il castello per la festa del diciottesimo compleanno di un suo amico.

 

Dopo aver organizzato le sale e sistemato gli addobbi e il cibo, Mr Stone chiama Pete per avvisarlo che è tutto pronto, verso le nove gli invitati giungono al castello e Stone racconta ai ragazzi della casa infestata, ma questi non ci credono e iniziano a festeggiare.

 

Il giorno dopo, Mr Stone si reca al castello e trova tutto sotto sopra, vede segni di lotta e non trovando nessuno dei ragazzi decide di chiamare la polizia.

 

I poliziotti si recano subito sul posto e dopo aver svolto accurate indagini scoprono che si tratta di un colpo molto accurato organizzato su commissione.

 

Dopo queste rivelazioni Mr Stone raggiunge un quartiere di Dublino e entra in una casa dove abita un uomo grosso  con barba folta e tanti tatuaggi. A quel punto Mr Stone estrae una pistola, gliela punta sulla tempia e dice: <Mi hai mandato in rovina con quel colpo! Ti avevo detto di andarci piano>,  l’uomo ride e BOOM cade a terra privo di sensi e Mr Stone ridacchiando se ne va.

 

Da quel giorno nessuno vide più Mr Stone.

Gabriele

 

Una partita a briscola

 

Era il 9 dicembre 1908, era una giornata come le altre; un'osteria in Germania stava iniziando ad affollarsi di persone.

 

Erano le ventitré quando la polizia venne chiamata dal proprietario del locale: venne trovato senza vita il corpo di un uomo dentro il magazzino, dove Jack era entrato per prendere delle bibite.

 

L'agente di polizia si recó subito sul luogo del delitto.

 

Era tardi, il locale venne sgomberato, entró nell’osteria l’investigatore Sam Stone era una persona alta, gracile, con capelli scuri e il viso pallido, non aveva per niente l'aria da sveglio.

 

Inizió a cercare tracce e indizi che lo potessero aiutare a scoprire l’identitá del colpevole; non trovó nulla di speciale, soltanto bottiglie di vino e qualche avanzo di cibo, soltanto ad un certo punto notó che sul tavolo in fondo alla sala era presente un mazzo di carte, che stranamente era in ordine.

 

Sam chiese informazioni al proprietario del locale, domandó se ricordava chi dei suoi clienti stesse giocando a carte, lui gli rispose che conosceva soltanto uno dei due uomini che stavano a quel tavolo: la vittima.

 

Il suo nome era William Bates, ogni sera, verso le ventuno, si metteva lí seduto ad aspettare il suo amico, giocavano a briscola e probabilmente scommettevano soldi.

 

Dopo le informazioni ricevute Sam andó a controllare il cadavere della vittima, con dei guanti lo perquisí e trovó nelle sue tasche ben duecento euro, non era sicuro che li avesse vinti contro il colpevole, ma anche quelli erano una prova, oltre ad essi trovó una lettera che diceva:”Alle ore venti ci vediamo davanti all’osteria, ci sono in palio duecento euro.”

 

Quel pezzo di carta, era la vera prova per scoprire il colpevole del delitto, lo portó ad analizzare e scoprí le impronte di un certo Steve Faith, un uomo dall'aria spaventosa, un criminale, già schedato.

 

Mandó la polizia ad arrestarlo e lo obbligó a confessare tutto quello che aveva fatto, ma non lo fece subito, solo dopo qualche mese di galera si decise e spiegó alla polizia e all'investigatore che William e lui stavano facendo una partita a carte e stavano scommettendo gli ultimi suoi soldi, per questo motivo, quando la vittima vinse e si prese i soldi decise di chiamarla da parte e di ucciderla nel retro della locanda dove nessuno poteva vederli; l'unico problema era che quando li uccise sentí la voce del proprietario avvicinarsi e non fece in tempo a recuperare i suoi soldi.

 

Con questa dichiarazione da parte del colpevole, un altro caso era stato risolto dal giovane Sam Stone, che con poche tracce smascheró Steve Faith.

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